Letter to You: Springsteen "torna a casa" con il rock che l'ha reso celebre
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lunedì 19 ottobre 2020
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di Marco Montrone
Perché dalla fine del “periodo d’oro” (Born to Run-Born in the Usa) Bruce non si è più guardato indietro. Negli ultimi 35 anni ha infatti esplorato tutti i territori della musica americana, soffermandosi soprattutto sulle radici folk e abbandonando così, almeno in studio, il “suo” rock.
Sì, è vero, ha inciso The Rising e Magic, ma entrambi i dischi (per quanto buoni) risultano “affetti” sia da deviazioni pop che dall’invadente produzione di Brendan O’Brien fatta di sovraincisioni e aggiunte di strumenti ben poco “springsteeniani”.
Bruce però il suo sound l’ha sempre riproposto dal vivo, con la E-Street Band. Sul palco è infatti rimasto sempre lo stesso, con la chitarra elettrica a tracolla e il classico “one, two, three, four”. Quindi non è un caso che per la registrazione di Letter to You il Boss abbia deciso di convocare i compagni di sempre per incidere le tracce del disco interamente “live”.
Perché solo in questo modo, riproponendo il suono puro “da palco”, Springsteen poteva riuscire nel 2020 a presentare qualcosa che arriva direttamente dagli anni 70.
Anche la decisione di inserire all’interno dell’album tre inediti scritti più di quarant’anni fa non appare come una mera operazione commerciale, ma al contrario si rende necessaria per fare da “collante” con la musica composta oggi.
E partiamo proprio da questi tre gioielli dimenticati, conosciuti però in realtà da tutti i fan vista la loro presenza in numerosi e “antichi” bootleg.
Janey Needs a Shooter fu registrata full band nel 1978, ma nonostante l’evidente bellezza non venne inserita nell’album Darkness on the Edge of Town. Si tratta di una sontuosa ballata che ricorda The Promise (altro pezzo escluso dal disco): un brano che grida vendetta per essere rimasto così tanto tempo in un cassetto. Il cantautore l’ha mantenuta pressochè uguale per Letter of You, inserendo solo un’armonica al posto dell’assolo di chitarra che si trovava a metà della canzone.
Ancora più datate sono If I Was the Priest e Song for Orphans, scritte agli esordi della carriera del Boss, nel 1972. Incluse nelle registrazioni conosciute come “Laurel Canyon Demos”, sono nate praticamente non arrangiate, composte solo da voce e pianoforte (o chitarra). Ebbene, Springsteen le ha riprese in mano per l’incisione dell’album, donando loro un magnifico “vestito” nuovo che le valorizza rispettandone la melodia.
La prima, stupenda, si ripresenta al mondo con l’aspetto di un’intensa ballata che unisce Dylan a un’anima nera, soul, quasi spiritual. La seconda invece è forse il brano più “dylaniano” mai pubblicato dal nostro, con tanto di armonica che ricorda quel menestrello a cui il Boss fu accostato all’inizio della propria carriera.
Intorno a questi tre gioielli “risorti” ci sono alcune canzoni che restituiscono, come detto, lo Springsteen più rock. Prime fra tutte Ghosts, con una batteria martellante e una coda strumentale travolgente. Impossibile qui non notare i continui rimandi agli arrangiamenti di The River, specie nelle chitarre (sembra di sentire Two Hearts) che regalano un sapore nostalgico a questo convincente pezzo.
Altri brani in cui è facile sentire il “vecchio Bruce” sono Letter to You (anche qui si ritorna al “muro del suono” dell’album del 1980), l’incalzante Burnin’ Train e la bella ed emozionante canzone finale: I’ll See You in My Dreams.
Ma in questo disco, seppur più deboli rispetto alle tracce sopraccitate, ci sono rimandi a tutte le sonorità affrontate dall’artista del New Jersey nella sua storia. Come nell’acustica (buona ma fuori contesto) One Minute You’re Here, che ricorda The Ghost of Tom Joad e Devil’s and Dust. O Last Man Standing, che si rifà a Tunnel Of Love, Rainmaker che pare uscita da Wrecking Ball, House of a Thousand Guitars più vicina a Magic e The Power of Prayer che riconduce al pop di Working on a Dream.
I testi, in realtà meno significativi se paragonati ad altri lavori, parlano del rapporto con la E-Street Band, dello spettro della morte, degli amici perduti e degli anni passati insieme.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Sto tornando a casa», canta Bruce in “Ghosts”. E quella “casa” a cui si riferisce potrebbe essere proprio il palco condiviso per quasi cinquant’anni con i suoi "fratelli". Lo stesso su cui speriamo di rivederlo presto, Coronavirus permettendo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il video di Ghosts:
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